Qualche giorno fa è uscita la notizia che Milano è in testa a una classifica piuttosto interessante: è risultata essere la capitale mondiale per visualizzazioni del noto sito “ludico” Youporn, mentre Roma si situa “solo” al secondo posto.
La cosa non mi ha stupito più di tanto, per svariati motivi. Il primo di natura sociologica: Milano è una città veloce che fagocita persone e rapporti interpersonali, quindi cosa potrebbe esserci di meglio, per il sollazzo intimo, di un fast food del sesso?
La seconda ragione è più di natura empirica: dalle mie avventure sentimental-sessuali e da quelle delle fanciulle con cui mi sono confrontata, è emerso un dato allarmante: il mondo è pieno di emuli degli attori porno, emuli che pensano che il massimo del godimento sia “martellare” la propria partner, accompagnando la propria prestazione ginnica (perché talvolta di questo si tratta, e non di altro) con grugniti e frasi altamente evocative del genere “Yes, baby yes”.
Ne sortisce un effetto gradevole. Non durante il rapporto in sé, che risulta anche piuttosto noioso se non addirittura “irritante” da svariati punti di vista, ma sicuramente durante i confronti tra femmine le quali, si sa, quando parlano tra loro di argomenti piccanti, possono essere arpie senza cuore pronte a farsi beffa dei loro malcapitati amanti.
Non voglio per questo demonizzare il porno, anzi. Va solo riposizionato.
Youporn e affini non possono essere considerati “maestri di vita”, ma solo giocattoli utili, sebbene non indispensabili, ai momenti di piacevolezza solitaria. Momenti solitari che io difendo a spada tratta e sostengo essere assolutamente indispensabili non solo al piacere del singolo, ma anche a quello di coppia.
Se non si ha infatti un rapporto gioioso con il proprio corpo, e le variopinte modalità del darsi piacere, non si potrà mai godere appieno l’incontro con l’altro.
Manca un’adeguata educazione sessuale in Italia, paese schizofrenico ossessionato e terrorizzato dal sesso. Vizi privati e pubbliche virtù.
Siamo campioni mondiali di onanismo, ma che non se ne parli, per carità. Siamo moralisti.