“Il tradimento avvelena anche chi lo fa”. Mi ha colpita il racconto di una ragazza negli spogliatoi della palestra (attenzione gente a quel che dite in luoghi simili, perchè anche gli armadietti hanno le orecchie), che difendeva accoratamente la sua infedeltà, salvo poi lamentarsi per conseguenze forse inattese.
Perchè, diceva, se tradisci anche solo una volta, poi uscire dal loop di bugie, paranoie e scuse da oscar, è difficilissimo. Tradisci ed entri automaticamente in un mondo che magari pensavi non esistesse; tradisci e cominci a sospettare che tutti lo facciano; tradisci e ogni minimo ritardo, ogni frase sentita pronunciare con incertezza diventano immediatamente delle prove schiaccianti.
E così non ti fidi piu di nessuno; nemmeno di una storia nuova, di una persona nuova: trovi il marcio ormai in tutto e in tutti. Dunque perchè tradire se ci si deve avvelenare l’anima così? Un tradimento per definizione dovrebbe essere sinonimo di evasione, di divertimento, di distensione, per chi lo fa. Se diventa una prigione perde anche il suo senso psicoterapeutico (se mai ce ne fosse davvero uno).
Se veramente tradire corrompe tanto quanto subire un tradimento, allora non esiste nessun aspetto positivo. Nessuno. Sarebbe tutto pi semplice se riuscissimo a raccontarci sempre la verità, anche quando è insopportabile. Sarebbe tutto più semplice se riuscissimo a essere davvero sinceri con noi stessi; e tradire diventerebbe inutile.
Eppure mi è parso di evincere dalla stessa ragazza degli spogliatoi che esista una sorta di tempo fisiologico per il tradimento. Un tempo in cui tradire non è legittimo, ma probabilmente inevitabile. E’ il momento in cui non ci si rende ancora conto di quel che si sta commettendo, il momento in cui non si è ancora riusciti a scegliere quale strada intraprendere.
Ma è un tempo limitato: a un certo punto qualcosa deve cambiare. E in ogni caso ormai il veleno è entrato in circolo. Forse chi tradisce se lo merita; forse è la punizione più giusta per aver pugnalato qualcuno alle spalle. Mi chiedo soltanto se si tratti di una malattia da cui si può guarire (oppure se tra geni e ormoni cosiddetti dell’infedeltà non esista ahimè rimedio). O se ci si debba rassegnare a una lenta e inesorabile agonia da lunga degenza. Consapevoli di averla creata con le proprie mani.
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